Le foglie di Pan:
dalla psicopatologia alla rinascita, dal controllo alla cura
L’interiorità verdeggia, nascono venature e foglie. Il mondo di Pan si popola di archetipi verdeggianti quali elfi e folletti.
Ricordo una storiella zen, che narra di un allievo il cui compito è metter ordine nel giardino. Questo allievo, prima della lezione del maestro, aveva imparato a riconoscere solo il risultante, il dipinto terminato, il paesaggio già composto. Per questo non riusciva ad accontentare il maestro nel mettere ordine nel giardino. Egli non conosceva l’importanza del processo. Nel suo giardino tutto era fatto, artefatto. In quello del maestro c’era invece almeno una foglia al vento. Quello era per il maestro zen, il vero e più profondo e duraturo ordine.
Il bambino quando impara a manipolare gli oggetti vuole manipolare tutto. Non smetterrebbe mai di manipolare, di toccare, metterci il suo segno. Questo è il tipo di coscienza di quell’allievo. E questa è la coscienza collettiva che forse stiamo ora, lentamente e gradualmente, lasciando, con il tramonto di un positivismo sfrenato.
Il maestro, la cui coscienza è più adulta, insegna che il manipolare è utile ma non è essenziale. E’ utile ed è esercizio, ma l’esercizio non può esaurire l’accadere spontaneo degli eventi, dei fenomeni, dei meravigliosi movimenti della natura.
Quella foglia libera che rende l’ordine di quel giardino più armonioso, ovvero più vicino all’armonia della natura, è testimone di quell’energia che la coscienza non può controllare, soggiogare alla sua volontà, destituendo il falso mito di “volere è potere”.
Jung ci rammenta la figura mitica dei Cabiri* nel Liber Novus ( O Libro Rosso):
<<I Cabiri :noi portiamo dal basso verso l’alto ciò che non è trasportabile. Siamo la linfa che sale misteriosamente, non per forza ma risucchiata e attaccata per inerzia a ciò che sta crescendo. Noi conosciamo le vie sconosciute e le leggi inspiegabili della materia vivente. Noi facciamo salire quel che sonnecchia nella terra, ciò che è morto e che si trasformerà in forme viventi. Copiamo lentamente e con semplicità quello che tu invano ti dai pena di fare alla tua maniera umana. Portiamo a termine quel che per te è impossibile. (…). Tu dimentichi l’inerzia della materia. Tu vuoi estrarre a forza solo ciò che può salire solo poco a poco, riuscchiandosi, agglutinandosi internamente. Cessa di affannarti, altrimenti disturbi il nostro lavoro>> Jung, 2010, p.231
- * nota p. 231 : “I cabiri sono proprio le forze formative occulte, i folletti che sono all’opera sotto terra, cioè subliminalmente, a creare per noi felici trovate; ma come coboldi, giocano anche tiri di ogni specie, rifiutando e rendendo inutilizzabili nomi e date che “pur stanno sulla punta della lingua”. Essi provvedono a tutto ciò che la coscienza, e le funzioni di cui essa dispone, non hanno ancora anticipato. (…). Ma una più profonda comprensione non può fare a meno di riconoscere, appunto nei motivi primitivi arcaici delle funzioni inferiori, importanti relazioni e significati simbolici; non schernirà quindi i Cabiri come ridicoli Pollicini; ma piuttosto ne presentirà il tesoro di occulta sapienza.” –
Cabiri e folletti sono gli esseri mitici che incarnano quel’energia simbolo che scaturisce dalla musica del bosco, luogo ove l’ordine della natura è sovrano.
L’allievo citato sopra lottava contro le foglie che cadevano dall’unico albero del giardino. Esse gli apparivano come sue nemiche. La loro musica ,in questo caso, smette di essere armoniosa, ma viene deviata dal muro della volontà che tutto vuol possedere, arrivando al di là di questo muro come fruscii fastidiosi,chiacchericcio di cabiri e canto degli elfi e viene percepito dalla coscienza piuttosto come una moltitudine di bisbigli ambigui, pungenti e disturbanti.
“Le creature elfiche sono esseri ingannatori e seducenti, che spesso danzano al chiaro di luna in una radura del bosco al suono di dolci melodie, con gesti allettanti che incantano i giovani attirandoli verso le regioni luminose in cui non esiste né morte né peccato. Certamente esse riescono a trasfomarsi molto spesso; l’incanto e il fascino che emana da queste figure luminose possono trasformarle in una lamia, in un’empusa, in uno di quei mostri mangiauomini, nelle succubi, che consumano i giovani dall’interno mettendo paglia e legno al posto del cuore. (…). Questa forza in movimento e piena di vita, nella sua grande astuzia, è proprio ciò che sprona l’essere umano, e, per citare le parole di Jung, questa mistura di saggezza e furberia appare nella creatura elfica come un’unica e medesima cosa. (…)L’elemento affascinante dell’elfa diviene proprio un fattore decisivo pr esprimere metaforicamente questo concetto: ciò che è cangiante, elusivo e leggero può trasformarsi in qualcosa che incanta, in una lamia, in un mostro, in un’empusa, oppure in un succubo, che ruba l’anima al giovane, gli succhia il midollo delle ossa, oppure per dirla in termini psicologici: L’Anima diventa un essere autonomo che esercita un influsso assolutamente determinante.” Emma Steiner, da Jung (1936-41) , pp. 301-303”
Hillmann ci rammenta la personificazione ellenica di questa energia che soggiace ai processi spontanei della natura, parlandoci del mito di Pan, immagine che si costella ogni qual volta vediamo un germoglio verde spuntare in un muro di cemento o tra i mattoni di una casa.
Non possiamo (…) ripristinare un rapporto armonioso con la natura semplicemente limitandoci a studiarla. E sebbene la nostra preoccupazione maggiore sia ecologica, non potremmo venirne a capo soltanto mediante l’ecologia. L’importanza della tecnologia e della conoscenza scientifica per proteggere i processi naturali è fuori discussione, ma una parte del campo ecologico è la natura umana, nella cui psiche dominano gli archetipi. Se Pan viene represso nella psiche, natura e istinto non potranno che andare in malora quali che siano i nostri sforzi a livello razionale per mantenere le cose a posto. (…) Senza Pan le nostre buone intenzioni di correggere gli errori passati finiranno soltanto per perpetrarli in altre forme. (…) È come se Pan fosse la risposta alla domanda apollinea sulla conoscenza di sè. (…) E, riconoscendo Pan in tutta la sua pienezza, Pan può dare la benedizione che Socrate cerca, dove interno ed esterno sono una sola cosa. (Saggio su Pan, pp. 128-130)
Pan è figlio di Ermes e di Persefone, nato quindi dall’unione del principio della trasformazione e dal principio dell’interiorità, dell’introversione. L’energia panica è in armonia con la coscienza quando l’introversione è approfondita, quando gli è concessa vita fino a che il mondo dell’interiorità si apre, l’occhio interiore si apre, la vista dell’interiore si apre. Allora L’energia panica può esprimersi nel mondo del fuori, può nascere e riveralarsi, facendo felice Plutarco che dichiarò che con il cristianesimo Pan (simbolicamente) è morto. Hillman lo riprende : “Pan non morì mai, (…) egli venne rimosso. Perciò (…) Pan ancora vive, e non soltanto nell’immaginazione letteraria. Egli vive nel rimosso che ritorna, nelle psicopatologie dell’istinto che si fanno avanti (…) innanzitutto nell’incubo e nelle qualità erotiche, demoniache e paniche ad esso associate.” (Hillmann, pp. 58-59)
Gli attacchi di panico, incubi ad occhi aperti insieme agli incubi classicamente riconsociuti, annunciano la presenza interiore di Pan. Parlano di guerra, di religione, di magia, dell’umana natura, del paganesimo, della morte, della vita verdeggiante dei cabiri e degli elfi . L’energia panica si muove e porta l’anima del mondo a farsi sentire.
Da una parte vediamo il controllo dall’altra la trascuratezza; da una parte un ordine immobile, dall’altro il caos più assoluto. Sono poli esperenziali che vivono in molti temi della vita, nei gesti quotidiani e nei rapporti tra esseri viventi. Un estremo vuole compensare l’altro, il quale risponde rendendosi ancora più estremamente chiaro. Le parti si fanno sempre più se stesse, si differenziano e si individuano. Si separano sempre più per accanirsi ancora di più una contro l’altra. Pan insegna con il suo essere mezzo uomo e mezzo capra che le parti convivono sempre. Al controllo polarizzato, unilaterale ed estremo, sfuggela complessità della natura, mentre alla trascuratezza sfugge che tutto è connesso, che anche in ciò che non cura, è presente l’Anima Mundi.
Pan attacca (attacco di panico) quando vive nascosto da un fallace controllo. Esso arriva per mostrare la vitalità delle sue foglie, quella tinta verde che colora spesso anche i toni del deserto. Ma attacca anche quando è sepolto dal cumulo della non curanza, quando c’è il rifiuto assoluto del controllo. Anche questa è una forma di controllo; alla trascuratezza sfugge infatti la pienezza della vita.
La presenza di Pan è un richiamo alla cura. Il controllo non è cura, il disinteresse e la trascuratezza non sono cura. La cura è dialogo, ove le complessità si ricordano del tutto e il tutto si ricorda della complessità.
Nell’esteso verde di un bosco si intravedono piano piano migliaia di esseri diversi e infinitesimi suoni, che si alternano in ritmi non ordinati ma che richiamano ad un armonia non umanamente costruibile (solo idealmente imitabile). Quando qualcosa di inaspettato e sconosciuto emerge, esso è già presente nell’inconscio atemporale. Nel dialogo si può infatti scoprire un significato dapprima inesepresso. Dice Jung:
“La trasformazione avviene quando nel mondo esperibile entra quella crescita interiore con tutti i suoi valori originari e i suoi significati inespressi. Quest’esperienza della totalità può essere talmente coinvolgente da essere definita addirittura la panacea, l’alessifarmaco, l’antidoto di tutti i veleni. A quest’idea sono sempre state attribuite le qualità più elevate, e non per una qualche considerazione razionale, bensì perchè esprime le più profonde esperienze interiori dell’essere umano.”
C.G.Jung, I sogni dei bambini, seminari p.298
Il processo di trasformazione interiore è per molti solo un concetto, a cui credere o no. Per qualcuno è qualcosa di percepito ma non riconosciuto e quindi ricondotto putroppo a qualcosa di strambo, preoccupante e disorientante. In questo caso le cose familiari perdono il loro significato abituale, emergono nuovi sentimenti, i comportamenti conosciuti nei confronti dell’oggetto relazionale non ci paiono più spontanei, naturali, necessari e funzionali.
Nuove foglie germogliano sui nostri rami che dalla terra e dalle radici si estendono verso l’aria aperta. Pan arriva attraverso i suoi germogli che annunciano nuova vitalità e un nuovo ciclo.
Ma se la coscienza non sa nulla di questo Pan, esso arriva come ospite indesiderato, inaspettato, sgradito, non compreso ed emerge panico, appunto.
La trasformazione naturale non ha connotazioni di valore, ma è invece il vissuto umano che colora il fenomeno di nero o di bianco. E’ allora la partecipazione della coscienza ai processi interiori e inconsci che permette ai giardini di essere zen: calmi, non selvaggi, eppure vivi e brulicanti.
La sperimentazione del processo interiore di trasformazione, non avviene necessariamente quando questa trasformazione accade, significa accostarsi al mondo interiore ed invisibile e aprire la razionalità ad accogliere un tipo di realtà che una coscienza collettiva dei nostri tempi e delle nostre scuole – scrivo in questo caso generalizzando l’esperienza italiana, partendo da una diffusione dell’ottimismo positivista fino ad arrivare alle generazioni intorno alla mia, che sono nata nel 1982 – non ci ha insegnato o nel peggiore dei casi, ci ha insegnato a disconoscere e giudicare come falsa o addirittura folle.
La trasformazione è per me, in quanto individuo e in quanto psicoterapeuta con una sufficiente esperienza clinica per poter affremare di aver percepito la presenza del processi trasformativo in tutti i casi e di averne toccato la tangibilità nel 92% dei pazienti – tangibilità definita in funzione delle conseguenze che modificano non solo il proprio sentire soggettivo ma anche la propria realtà esteriore nelle scelte di vita, nei rapporti con le persone sia di vecchia conoscenza che nei nuovi incontri .
Questo processo è in parte naturale e spontaneo, ma con esito più incerto tanto più la coscienza non è coinvolta nel processo.
In virtù di tutto ciò, è da sottolineare che questa partecipazione della coscienza al processo trasformativo interiore è un dialogo senza armi né catene con Pan; è come la cura del giardino zen del maestro monaco citato all’inzio di questo scritto.
Zaira Cestari
Fai col non fare
agisci col non agire
lascia all’ordine sorgere da solo
Lao Tzu, Tao Te Ching
Bibliografia
- Hillman, (1977)“Saggio su Pan”, Milano: Adelphi, 2007
C.G. Jung ( 1936-1941) “I sogni dei bambini, seminari”, Torino: Bollati Boringhieri, 2013
C.G.Jung, ( 1913-1959) “Libro Rosso”, Torino: Bollati Boringhieri, 2009
Lao Tzu, (IV-III sec. A.C.) “Tao Te Ching”, Milano: Adelphi, 2013
Plutarco, ( 96.120 d.C) “Vite Parallele”, Novara: De agostini, 2013
- Quaranta (a cura di) (2006) “Antropologia medica”, Milano: Raffaello Cortina, 2006
- Robb (1997) “Alchimia Mistica”, Colonia: Taschen, 2015
- Watts (1977) “Il Taoismo: la via è la meta.” Torino: Lindau, 2015